Dalla lettera agli Ebrei (Eb 12,5-7.11-13)

Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: «Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio». È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.

Possiamo comprendere questo brano ponendoci una domanda: sento e credo di essere figlio di Dio e figlio della Chiesa?

Certo! Lo siamo diventati in Cristo! Sia i destinatari della lettera sia noi oggi! Per fede crediamo nell’opera di Gesù, nostra salvezza, in cui siamo incorporati mediante il Battesimo.

Il brano ci invita a considerare il fatto che, in quanto figli, siamo corretti da Dio stesso.

L’autore, sicuramente un teologo cristiano, utilizza l’immagine dei “figli” per spiegare che le sofferenze dei cristiani, figli dello stesso Padre, Dio, sono mezzi attraverso i quali Dio corregge dall’egoismo e rende forti nell’amore, sono segno della nostra figliolanza e nella maturazione della nostra fede.

Dio, come Padre, utilizza qualunque fatica, stanchezza e umiliazione, insieme alle sofferenze fisiche e spirituali, per purificarci nella lotta contro il peccato in preparazione alla vita vera e alla sua santità.

Non siamo soli di fronte alla prova: Dio ha già percorso questa strada tramite cui ci chiama a sé!

Se siamo leali con noi stessi, dobbiamo riconoscere la funzione educativa di alcune prove, scoprendo il Suo paterno amore.

Gesù è il luminoso esempio che siamo chiamati a seguire; egli non si è lasciato bloccare da nulla nella sua obbedienza al Padre in quel sacrificio di amore per gli uomini e le donne di ogni tempo.

Gesù, per primo, ha preso su di sé i nostri peccati, morendo sulla croce per redimerci e offrirci salvezza e guarigione qui e nella vita eterna.

Esortiamoci a vicenda ad attingere a questa enorme grazia tramite la preghiera e tramite i sacramenti per perseverare e testimoniare la nostra confidenza in un Dio che ha voluto assumere la fragilità della nostra umanità nella sua incarnazione e oggi nei nostri fratelli più fragili e infermi.